Si è abituati fin dai banchi di scuola a conoscere Luigi Pirandello soprattutto per il conflitto di personalità de “Il fu Mattia Pascal” e la crisi d’identità di Vitangelo Moscarda, protagonista dell’altro celebre romanzo “Uno, nessuno e centomila”. L’uomo e le sue maschere, il contrasto tra la vita e le sue forme, il confine tra la vita e il teatro, l’umorismo e il relativismo conoscitivo ed etico sono certamente alcuni dei temi principali cari allo scrittore agrigentino. Alcuni di questi si compenetrano nel grande capolavoro metateatrale dei “Sei personaggi in cerca d’autore”, che inaugura una capacità drammaturgica inedita di un teatro che si guarda allo specchio per aver modo di rivedere in maniera riflessa le proprie trame, i propri schemi e meccanismi.
Tra le opere che costituiscono la vasta produzione dello scrittore siciliano c’è anche “L’innesto”, una commedia in tre atti considerata minore dalla critica e per questo raramente rappresentata. Scritto nel 1917, “L’innesto” è stato messo in scena per la prima volta nel 1919. Si tratta di un’opera sconosciuta spesso anche agli stessi cultori di Pirandello probabilmente proprio a motivo della marginalità cui è relegato sul piano sociale il tema che affronta, quello dell’aborto. Onore dunque al merito della compagnia “La Piccola Crocchia” del Teatro La Mennola di Salerno, che l’ha rappresentata con la regia di Flavio Donatantonio.
La commedia racconta la vicenda di Laura Banti, sposata da sette anni con suo marito Giorgio, dal quale però non riesce ad avere figli. Nella tranquillità della loro vita coniugale irrompe all’improvviso un evento drammatico: Laura subisce una violenza carnale. Viene così brutalmente leso anche l’onore di suo marito. Tale violenza sessuale subita da Laura si rivela naturalmente gravida di conseguenze traumatiche anche sul piano psicologico e viene assimilata dal genio di Pirandello a una metafora, quella dell’innesto, che dà il titolo all’opera. L’innesto è una pratica agronomica che affiora coi suoi dettagli nel racconto dell’esperienza del giardiniere di casa Banti:
Filippo: Eh, ma l’arte ci vuole! Se non ci hai l’arte, signora, tu vai per dar vita a una pianta, e la pianta ti muore.
Laura: Perché può anche morirne, la pianta?
Filippo: E come! Si sa! Tu tagli – a croce, mettiamo – a forca – a zeppa – a zampogna – c’è tanti modi d’innestare! – applichi la buccia o la gemma, cacci dentro uno di questi talli qua; leghi bene; impiastri o impeci – a seconda -; credi d’aver fatto l’innesto; aspetti… – che aspetti? Hai ucciso la pianta. – Ci vuol l’arte, ci vuole! Ah, forse perché è l’opera d’un villano? D’un villano che, Dio liberi, se con la sua manaccia ti tocca, ti fa male? Ma questa manaccia… Ecco qua. Qua c’è una pianta. Tu la guardi: è bella, sì; te la godi, ma per vista soltanto: frutto non te ne dà! Vengo io, villano, con le mie manacce; ed ecco, vedi? Comincia a sfrondarla, per fare l’innesto; parla e agisce, prendendosi tutto il tempo che bisognerà per compire l’azione. Pare che in un momento t’abbia distrutto la pianta: ho strappato: ora taglio, ecco; taglio – taglio – e ora incido – aspetta un poco – e senza che tu ne sappia niente, ti faccio dare il frutto. – Che ho fatto? Ho preso una gemma da un’altra pianta e l’ho innestata qua.
Con queste parole Pirandello illustra metaforicamente quanto accaduto a Laura, mostrando da subito come persino un’azione così brutale commessa da un ignoto avventore possa trasformarsi addirittura in un innesto fecondo per la stessa pianta. In questo modo una ferita profonda nell’anima e nel corpo di Laura si rivela nel contempo foriera di vita nuova, capace cioè di far germogliare una pianta che sembrava destinata a non produrre alcun frutto. Laura porta infatti nel proprio grembo il frutto della violenza subita. Tuttavia non può una madre dimenticarsi del frutto delle proprie viscere, la sua carne è chiamata a essere utero che accoglie. Così la carne di Laura, rivivificata dall’amore, diviene capace di perdonarsi e di aprirsi, senza l’ombra di un’esitazione, alla vita che ospita in sé.
«Omnia vincit amor», scriveva Virgilio. È l’amore soltanto il balsamo che guarisce e l’unguento che cicatrizza le sue ferite e che colma i monti dell’orgoglio del marito Giorgio che vorrebbe invece immediatamente farla abortire perché non riesce ad accettare quel figlio che non gli appartiene e lo scandalo che ne sarebbe derivato. Ma Laura sa bene che l’aborto sarebbe solamente un presunto «rimedio più odioso del male»rappresentato dalla violenza già perpetrata nei suoi confronti. Grazie al suo coraggio e alla sua determinazione, Laura riesce alla fine a vincere con l’amore l’ostilità del marito nei confronti del bruto violentatore e, proprio in forza dell’amore per il suo sposo, convince Giorgio ad accogliere il figlio come proprio.
Purtroppo le storie drammatiche di innesti, cioè di figli non abortiti dalle loro madri nonostante fossero frutto di stupri, giungono sino ai giorni nostri. Storie di bimbi partoriti e magari affidati alla nascita a una madre adottiva, perché con la loro semplice presenza avrebbero forse ulteriormente scavato in una ferità già in sé tanto difficile da rimarginare nel cuore delle loro madri. Eppure anche nel caso dello stupro esiste un solo diritto, quello alla vita. Certamente la violenza sessuale è, dopo l’omicidio, la violazione più grave che si possa commettere contro la dignità della donna. Tuttavia il il figlio di una violenza non ha alcuna colpa; sarebbe soltanto, in caso di aborto, un’ulteriore vittima innocente. Infatti se sua madre si decidesse per l’aborto andrebbe soltanto ad aggiungere alla ferita che le è stata brutalmente inferta un’altra ferita di cui sarebbe invece direttamente responsabile.
Anche la moglie dell’attore Martin Sheen avrebbe potuto essere abortita perché frutto di uno stupro. Ma quell’amore speciale che ogni madre nutre per ciascuno dei suoi figli fu in grado di colmare l’odio per l’oltraggio subito. Così l’attore americano può oggi ringraziare sua suocera che, accogliendo sua figlia, le ha donato la compagna di una vita intera.
“L’innesto” pirandelliano ha ispirato recentemente anche il film “La scelta” di Michele Placido con Raul Bova e Ambra Angiolini al cinema dal prossimo 2 aprile. La storia di Laura Banti, come quella di ogni donna violentata che porti in grembo il frutto di un abuso, testimoniano chiaramente che per quanto una madre possa sforzarsi di soffocare l’impeto naturale d’amore nei confronti del figlio della propria carne, non riesce a spegnerlo. Tale amore materno si ridesta infatti traboccante nel suo cuore come un’onda in grado di travolgere anche le dighe del più becero orrore pur di raggiungere quel cuoricino che già batte accanto al suo.