«Ricerca la bellezza che al cuore una carezza ti darà». È questo il leitmotiv di “È cosa buona e giusta” un brillante spettacolo teatrale scritto e interpretato da un istrionico Michele La Ginestra, in scena fino al 6 novembre al Teatro Golden di Roma. Scoprire la bellezza della verità, scegliere ciò che è buono e giusto per l’appunto e compierlo con amore è infatti l’unico antidoto che può arginare la ‘vanità di vanità’ per cui ‘tutto è vanità’, per dirla parafrasando le parole attribuite anche a san Filippo Neri e riprese in musica nel canto su cui si apre il sipario.

Prodotto da ‘Il Sistina’ e Teatro 7 e diretto da Andrea Palotto lo spettacolo è ora presentato in una versione ‘da asporto’ ridotta in termini di attori sul palco, più sobria rispetto a quella originale, secondo quanto si riscontra nel trailer dello stesso circolante in rete. “È cosa buona e giusta” si muove sul filo dell’autobiografico, all’insegna dell’amarcord dei ‘tempi che furono’, mentre sullo sfondo c’è il buon vecchio parroco don Gino che, pur canzonato per il suo modo di parlare, aiuta i giovani a trovare la propria strada e ciascuno la sua vocazione.

Ciò vale per lo stesso Michele che, preso in giro dai compagni per i suoi ‘piedi a banana’, comincia a recitare le prime battute proprio calcando il palcoscenico del teatro parrocchiale, ancora ignaro di quanto avrebbe compreso gradualmente più avanti proprio a partire dalle ultime parole del padre che risuonano come un testamento spirituale in un monologo molto intenso e commovente in cui La Ginestra le riprende fedelmente.

“Che fai oggi sei triste, butti una giornata?”. Suo padre lo saluta così prima di tornare sereno alla casa del Padre; d’altra parte “È il primo giorno, mica posso farlo aspettare? (il Padre celeste, ndr)”. Lascia al figlio però in eredità il suo sorriso perché Michele impari a saperlo donare agli altri.

E La Ginestra ne strappa di risate tra battute in romanesco, anche se talvolta peccano di eccesso di volgarità, ed esilaranti imitazioni, compresa quella del parroco e del bidello ‘maestro di vita’ con tanto di appello ai giovani d’oggi a saper scegliere i propri maestri, nella consapevolezza che «nella vita ci vuole coraggio per non fermarsi a un assaggio», come afferma in un intermezzo musicale, per andare controcorrente, non arrestarsi alla superficie delle cose e dei rapporti umani e compiere la scelta giusta.

 Nel confronto serrato della realtà giovanile tra ‘ieri e oggi’, tra una piazzetta e un pallone da una parte e il restarsene da soli con la testa sullo smartphone dall’altra, emerge con forza l’invito a utilizzare tutti e cinque i sensi e non solo il dito, e dunque ad ‘appizzare l’orecchio’, a sentire i rumori della strada come ad annusarne i profumi (a partire dal ragù della nonna!), a sviluppare il gusto passionale di un bacio dato con amore. D’altra parte, per dirla con una battuta, il «‘touch you’ è meglio del touchscreen». Si tratta di «spegnere i lampioni della routine per riscoprire la bellezza interiore di chi ti sta accanto». Di qui si ride per non piangere se solo si pensa che, a furia di selfie «per fermare l’attimo, l’attimo l’avete perso!», per cui il presente viene fotografato e immortalato, ma paradossalmente ‘non vissuto’. Basti in proposito ricordare le foto di piatti che spopolano sui social gustati soltanto dopo aver scattato numerose foto a prova di like.

Insomma si ride e ci si diverte, ci si commuove e ci si riflette nello spettacolo di Michele La Ginestra, ma soprattutto si raccoglie l’invito caloroso e appassionato di «un uomo vestito di bianco», per il quale «il mondo ha bisogno di bellezza». Dunque siamo tutti chiamati a essere «custodi di una bellezza che c’è stata data».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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