‘Il Signore degli Anelli’, una straordinaria parabola sull’uomo del nostro secolo

“Io in tutto, tranne che nell’altezza, sono un hobbit”. Si presenta così in una sua lettera J. R. R. Tolkien, quasi identificandosi con una delle bizzarre creature frutto del suo genio creativo, un unicum nel panorama della lettura fantasy e dell’epica.

“Secondo le statistiche inglesi, ‘Il Signore degli Anelli’ è il secondo libro più letto al mondo dopo la Bibbia”. Con il rilievo di questo dato il professor Andrea Monda, docente di religione a scuola e in televisione con la sua trasmissione “Buongiorno Professore” in onda su TV2000, ha inaugurato in una chiesa di S. Francesco alle Stimmate gremita di giovani la “Primavera Hobbit”, una serie di incontri dedicati all’approfondimento di personaggi e temi cari allo scrittore inglese promossa da don Fabio Rosini e dalla Pastorale Vocazionale della Diocesi di Roma.

Se è vero che ogni opera rispecchia la vita del suo autore, allora è necessario ripercorrere innanzitutto la biografia di John Ronald Reuel Tolkien. “Potremmo definirlo semplicemente con queste quattro parole: inglese, filologo, cattolico e papà”, ha affermato Andrea Monda.

“Per quanto non si trovino riferimenti espliciti a Dio e al cristianesimo, non possiamo trascurare il fatto che Tolkien andava a Messa tutti i giorni e collaborò, in virtù delle sue competenze filologiche per le quali fu anche professore a Oxford, alla traduzione della Bibbia di Gerusalemme. La sua fede salda gli fu trasmessa dalla madre che visse sulla propria pelle le conseguenze della conversione dall’anglicanesimo al cattolicesimo: fu costretta infatti a vivere in povertà e solitudine gli ultimi anni della sua vita”. Ecco perché quando un suo amico, padre Murray, gli fece notare in una lettera di rintracciare nella lettura della sua opera “una positiva compatibilità con la dottrina della Grazia”, Tolkien non esitò a replicargli di aver scritto “fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica”. Eppure lo stesso scrittore inglese non ebbe tale consapevolezza all’inizio della stesura dell’opera, ma sembra piuttosto che l’abbia maturata in seguito, mediante un’attenta e assidua lettura e rilettura del suo poema. “Solo l’angelo custode conosce il rapporto tra l’artista e la sua opera”, scrisse in una lettera.

Un giorno a Oxford un suo studente consegnò il compito di filologia lasciando il foglio completamente in bianco. Il professor Tolkien su quel foglio scrisse una semplice frase che divenne poi l’incipit di una storia: “In un buco della terra viveva un hobbit”. Di qui prende le mosse una narrazione il cui protagonista, Bilbo Baggins, appartiene a un popolo di strane creature, gli hobbit appunto, ‘mezziuomini’ e pantofolai, che lavorano e godono dei frutti della terra, che amano mangiare, bere, fumare e fare feste, accontentandosi di vivere in tutta pace e tranquillità nella Contea. Ma “i paradisi sulla terra finiscono male”, commenta Andrea Monda rispetto a un simile stile di vita. Per questo motivo Bilbo, che pure ama la Contea, da una parte sente che è un ambiente ristretto e limitante, dall’altra continua a coltivare il desiderio di vivere un’avventura, e per questo coglierà positivamente l’invito di Gandalf a seguirlo nella missione che gli propone. Questo suo distinguersi dagli altri hobbit, gli costerà però anche l’appellativo di “bizzarro” e la perdita della propria rispettabilità, quasi fosse un ‘traditore della patria’.

Alla stessa sorte sembra siano destinati anche gli hobbit protagonisti de “Il Signore degli Anelli”, in particolare Frodo e Sam. Infatti nell’opera che costituisce “una straordinaria parabola sull’uomo del nostro secolo”, per dirla con il professor Monda, “assistiamo al capovolgimento dell’epica classica e dello schema tipico della ‘cerca’. Nelle grandi saghe infatti l’eroe è colui che intraprende un viaggio per una conquista o interviene a sconfiggere i nemici per ripristinare l’ordine; qui invece il grande viaggio non è per prendere ma per perdere; non è intrapreso per affermare se stessi bensì per rinunciare”. Nel rovesciamento del modello dell’epica classica emerge la grande novità del poema tolkieniano, che può sintetizzarsi nella morale del Magnificat. Così la Compagnia dell’Anello, pur essendo “un’armata Brancaleone scalcagnata, riesce nell’impresa, e non perché i suoi componenti siano validi, bensì semplicemente perché i suoi membri insieme costituiscono una compagnia”; le torri degli eroi solitari cadono “perché ha rovesciato i potenti i troni”. È l’epopea degli umili, e gli hobbit lo sono, perciò accade “paradossalmente che Sauron, pur essendo un grande occhio, guardi ma non veda, accecato dalla brama di potere; laddove invece Frodo, nell’osservare Gollum, vede se stesso e ne ha compassione, alla stregua di Bilbo che, a suo tempo, avrebbe potuto uccidere quella misera creatura ma non lo fece”.

Con questa sua narrazione Tolkien, che pure aveva vissuto in prima persona la tragedia della Grande Guerra e ne aveva visto l’orrore in trincea sul fronte francese a Verdun, non ha costruito una banale letteratura fantasy d’evasione, ma ha voluto proporre all’uomo contemporaneo un’altra logica più efficace e adeguata alla realtà, ossia quella dell’eroismo della rinuncia e dell’umiltà, poiché “il superuomo non ci sarà, ma ci salverà il mezz’uomo”. E allora che la “Primavera Hobbit” abbia inizio!

I prossimi appuntamenti con il Prof. Andrea Monda sono in programma il 9, il 16 e il 23 maggio sempre alle ore 19 presso la stessa Chiesa di S. Francesco alle Stimmate.

Fonte: FarodiRoma

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