Thérèse Hargot

“Siate Pocahontas e lasciate Biancaneve ai nani!”. Nel suo libro Una gioventù sessualmente liberata (o quasi) (pp. 170, Sozogno 2017, € 16.50), tradotto in italiano da Giovanni Marcotullio, Thérèse Hargot  sollecita con questa provocazione le sue studentesse parigine a custodire la propria femminilità, a non concedersi al primo che capita, imparando anche l’arte di saper stare da sole quando necessario.

L’autrice è una giovane sessuologa belga, classe 1984, sposata e madre di 3 figli, laureata in filosofia con un master in scienze sociali alla Sorbona. Nel suo recente volume ha raccolto le testimonianze di molti suoi studenti legate a esperienze sessuali precoci e ne ha analizzato le pesanti ricadute sulla loro crescita e maturazione affettiva. Attraverso il suo lavoro di educatrice e formatrice in materia, la Hargot s’impegna infatti quotidianamente ad aiutare i giovani innanzitutto a conoscere il proprio corpo, a verbalizzare le proprie emozioni, i propri sentimenti e desideri, nella consapevolezza che non può esserci consenso all’atto sessuale senza autonomia né considerazione del suo significato.

In un contesto sociale in cui il sesso è invece spesso vissuto in una dimensione ludica come mera genitalità, la Hargot evidenzia soprattutto gli effetti drammatici della pornografia sulla sfera affettiva dei ragazzi, che li abitua a pensare al proprio partner come “una cosa da rivoltare per il proprio piacere” (p. 31). Col suo “nuovo must: dal ‘dovere di riprodursi’ al ‘dovere di godere’” (p. 31), la pornografia “è divenuta una valvola di sfogo del desiderio proibito: quello di lasciarsi dominare e di dominare” (p. 137). Il suo consumo favorisce l’insorgere di fantasie erotiche destinate a rimanere tali e dunque un motivo in più di frustrazione, in quanto non sono affatto compatibili con una relazione amorosa che voglia definirsi tale.

Nel suo saggio la Hargot rileva in particolar modo le numerose contraddizioni insite negli stessi slogan della ‘rivoluzione sessuale’. “Vietato vietare” o “L’utero è mio e lo gestisco io” ha comportato infatti che “sottraendo al corpo il suo valore sacro, di cui la morale paternalista si voleva garante, ha guadagnato per esso un valore di scambio, cioè di mercato” (p. 80). Per cui oggi nelle relazioni sessuali a farla da padrone è una ‘morale del consenso’, come la definisce la Hargot, dove quello che conta è semplicemente l’assenso tra i due amanti. Basta una volontà concorde a stabilire la moralità della pratica sessuale, nulla importa se si tratti soltanto di un’egoistica e reciproca strumentalizzazione per il proprio piacere. Tale tendenza, che sovverte palesemente la logica del dono sottesa a ogni vera relazione amorosa, emerge in particolar modo nella consolidata prassi della contraccezione. Parlare di sesso oggi non significa più parlare d’amore, ma trattare dei rischi e delle conseguenze di un rapporto sessuale: la contraccezione ha reso la sessualità “come potenzialmente foriera di una minaccia” (p. 73). Laddove “l’amore chiama alla fiducia e all’abbandono”, “il preservativo serve a proteggersi dall’altro” (p. 69).

E ancora, rispetto all’assunzione della ‘pillola del giorno dopo’, la Hargot sottolinea un evidente paradosso: “Le donne si proclamano a gran voce ‘libere, liberate’ quando sono permanentemente sotto il controllo di ormoni che fanno tacere il loro corpo” e “vantano le virtù di una pillola che diminuisce la loro potenza sessuale” (p. 102). In effetti, riducendo la libido sessuale, la ‘pillola del giorno dopo’ fissa gli ormoni femminili allo stato d’infertilità, ponendo in qualche misura sottocontrollo ormonale la loro libertà. Inoltre, se “sopprimere il ciclo mestruale significa permettere alle donne di lavorare ‘come degli uomini’” (p. 162), allora il femminismo ha fallito anche sul piano sociale, per cui le donne rimangono asservite a un sistema maschilista corroborato nel suo potere paradossalmente dalle loro stesse decisioni.

Un altro slogan della rivoluzione sessantottina recitava: “Un bambino, se voglio io, quando voglio io!”. Allora, se la pillola dovesse fallire, ecco pronto il rimedio definitivo a una gravidanza indesiderata, l’ultima frontiera della ‘liberazione sessuale’ delle donne: l’aborto. Esso viene definito dall’autrice con ironia tragica quale “servizio clienti della contraccezione” (p. 112). Un ‘servizio’ che fa due vittime: il nascituro e il cuore della madre che resterà segnato, con l’uccisione del proprio figlio, da una ferita indelebile e difficilmente rimarginabile.

A questo punto viene spontaneo chiedersi: ma fu vera ‘liberazione’? Alla luce di questi elementi sembrerebbe proprio di no. Tuttavia, secondo la Hargot, sulle macerie dell’ideologia femminista, è possibile, anzi è doveroso ricostruire proprio a partire da coloro che ora pagano il prezzo più alto di tale ‘liberazione’ sessuale, ossia le giovani generazioni, le quali necessitano di una nuova alfabetizzazione della dimensione affettiva e sessuale, che muova dalla consapevolezza che “l’amore non è un discorso, s’incarna nel quotidiano” (p. 152).

Fonte: FarodiRoma

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