«Questo libro è la risposta di un uomo di fede non rassegnato a prendere semplicemente atto delle difficoltà ecclesiali e sociali, ma deciso invece a impegnarsi fino in fondo nella buona battaglia per dare a Dio il posto che gli compete in seno all’umanità». Così il compianto Cesare Cavalleri presenta Il fumo nel Tempio (pp. 296) di Eugenio Corti, pubblicato in nuova edizione dalle edizioni Ares che meritoriamente ha curato l’Opera Omnia dello scrittore brianzolo.

Si tratta di una raccolta di puntuali interventi di analisi di fatti avvenuti principalmente negli anni compresi tra il 1970 e il 2000; è il controcanto di un uomo libero che dà voce al disagio di tanti cattolici che, sulla scia di san Paolo VI, vedono il ‘fumo di Satana’ entrare nel tempio di Dio.

«Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita», prosegue Cavalleri nella prefazione al volume. Di qui «la persuasione dello scrittore che all’origine dei gravi problemi che si trova ad affrontare la Chiesa ci sia l’intrecciarsi di due fenomeni: l’offuscamento della linea verticale che lega l’uomo a Dio e l’abbandono di quella linea orizzontale che definisce la vita cristiana nei suoi esiti sociali, vale a dire la cultura».

Nel commentare una citazione del filosofo Maritain, Corti riflette sulla dimensione politica in senso lato della Chiesa: «La Chiesa (anche se istintivamente ci ripugna mescolare a una realtà per tanti aspetti soprannaturale, categorie come destra e sinistra) in quanto riceve la propria autorità dal­l’alto non potrà mai essere considerata una organizzazione di sinistra, ma se mai il suo contrario. Ci spieghiamo allora meglio perché una politica ‘di sinistra’ (non ci si fraintenda: ripetiamo che disturba anche noi usare per la Chiesa questo frasario pro­fano) – com’è quella appunto preconizzata con tanta autorità dallo stesso Maritain – abbia potuto portare a uno stato di se­miparalisi, e alla scelta di tanti uomini sbagliati soprattutto per i posti chiave della cultura, dei mass media, eccetera. Unico conforto per noi è sapere che la Chiesa non potrà comunque ar­rivare allo sfacelo, in quanto il Salvatore sarà sempre con lei».

Corti critica dunque aspramente anche quel «gruppo dei cattolici ‘illuminati’, i quali si atteggiano a maestri dei vescovi e del Papa, e anzi, al­l’occasione, addirittura a ‘correttori’ delle sacre scritture», così simili ai ‘cattolici adulti’ contemporanei che assumono posizioni sui temi etici in netto contrasto con il magistero della Chiesa. Di qui, sul piano politico, lo scrittore brianzolo osserva con amarezza che «i politici cri­stiani parlano ormai quasi soltanto il linguaggio degli altri», per cui quanto valeva un tempo per la Democrazia Cristiana vale ancora oggi per tanti politici che relegano la propria fede alla sola sfera privata, impedendone le ricadute in ambito sociale.

Rispetto alla strumentalizzazione mediatica del Concilio Vaticano II, Corti osserva con preoccupazione, «come al­lora tutti senza eccezione applaudissero la Chiesa: tutti gareg­giavano nell’osannarla, non si sentiva più un solo crucifige. Anche chi fino a poco tempo prima aveva insultato e calun­niato, si convertì all’applauso».

 Attento e profondo conoscitore dell’ideologia comunista, di cui ha sperimentato la follia anche sulla propria pelle, si chiede provocatoriamente, alla luce dei milioni di vittime da essa mietute: «Si vorrebbe portare i cristiani a collaborare con questa gente, con questi ‘movimenti storici’?».

 Nel decostruire il comunismo Corti sottolinea l’impossibilità di prescindere dal capitalismo, dal momento che lo stesso Lenin in Cinque anni di rivoluzione russa ammetteva: «“Il capita­lismo di Stato non è un elemento socialista… Ma se noi non ci fossimo dimostrati in grado di eseguire questa ritirata (sul capi­talismo di Stato) saremmo stati minacciati dalla rovina”». Certo con tale regime il sistema capitalista da privato diventa ‘di Stato’, ma continua comunque a esistere. Insomma, di contro a un «liberismo a oltranza», si tratta di recuperare un po’ di sano «realismo cristiano, e non in base a uto­pie, tanto meno laiciste».

 D’altra parte, «Marx può ben essere stato mosso da un grande impulso di generosità umanitaria, e così Lenin, che ha tentato di attuare l’utopia di Marx nella dolentis­sima realtà russa, e così dopo di loro i rivoluzionari cinesi: ma da quella generosità di partenza sono derivati solo morti, e do­lori, e miseria. Che una simile distruzione dell’uomo – letteral­mente mai vista prima nella storia – possa non essere tenuta in alcun conto dai visionari di matrice laicista, tuttora abbagliati dal gigantesco tentativo di Marx di avviare una redenzione non cristiana dell’umanità, lo si può anche capire, se pure a fatica. Ma com’è possibile che degli studiosi, tanto più cristiani, non se ne rendano conto?», si domanda lo scrittore brianzolo riflettendo sulle ricadute di tale sistema ideologico. A tal proposito egli osserva acutamente che «nel mondo intero il comunismo ha fatto più presa, al di là dei paesi in cui s’è imposto con la violenza, in quelli cristiani, e più propriamente cat­tolici: in Italia, Francia, Spagna, America latina. Nei paesi pro­testanti invece, dove la gente non va quasi più in chiesa e crede sempre meno nella trascendenza, la presa è molto minore. Que­sto perché nei cattolici c’è l’attesa della redenzione, ed è rima­sta anche in quelli che credono sempre meno. Il comunismo si presenta appunto come una redenzione portata dall’uomo all’uomo: soprattutto come tale è sentito a livello po­polare». Eppure le «idee non cristiane, sono sfociate in aberrazioni tra­giche, tra cui enormi stermini, perfino superiori a quelli del tempo pagano (anzitutto in Vandea, poi nel corso delle guerre nazionalistiche, poi nelle lotte razziali, e più ancora in quelle di classe)».

Quale testimone autorevole delle ricadute tragiche del comunismo Corti addita proprio Giovanni Paolo II, «un pastore con la forma mentis del pastore e non dell’intellettuale (pur con tutto il ri­spetto che a questa è dovuto), che ha inoltre sperimentato di persona la realtà sommamente tragica di quel comunismo che tanti intellettuali cattolici, da Maritain in poi, si illudevano d’in­quadrare nella ‘nuova cristianità’».

Nel commentare invece la strumentalizzazione del ‘caso Seveso’ da parte degli abortisti, egli afferma, dati alla mano, che «a distanza di oltre un anno e mezzo dalla fuga del gas tossico a Seveso, possiamo affermare in tutta obiettività che le uniche vittime umane della diossina sono stati i bambini uccisi nel grembo materno dalla campagna forsennata degli abortisti». E aggiunge un accorato appello estremamente attuale soprattutto per quei cattolici attualmente impegnati in politica: «Per il futuro bisogna che noi cattolici ci svegliamo: non dob­biamo più permettere che siano gli anticristiani a decidere della vita e della morte dei nostri figli».

Profeta del suo tempo, Corti è anche un romanziere di opere monumentali, tra le quali il capolavoro Il cavallo rosso, di cui Cornelio Fabro scrive: «È certamente anche il romanzo del trionfo cristiano del bene sul male, ma non qui in terra come ne I promessi sposi, bensì nella luce eterna di Dio, che non conosce tramonto». Eppure, rispetto alla crisi della Chiesa, auspica l’avvento di una «società cristiana nuova. Che sarà pur sempre uno sviluppo della nostra: una nuova ‘città sul monte’, non meno luminosa».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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