«La persona che combatte contro l’ansia teme di perdere i beni di questo mondo e il loro go­dimento. È la paura di perdere il benessere, la salute, la sicurezza, le relazioni, la reputazione; oppure può aver timore di perdere l’amore di Dio, di scontentarlo e di incappare nei suoi terribili castighi».

È quanto scrive lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini nel saggio Mio Dio, che ansia! (2022, pp. 112) appena uscito per l’edizione de Il Timone. Si tratta di un volume nel quale l’autore propone, nel solco della riflessione di san Tommaso d’Aquino, una serie di preziose indicazioni per far fronte proficuamente ad ansia, paura di non farcela, palpitazioni e attacchi di panico, sempre più diffusi anche tra i più giovani, soprattutto per i postumi del clima di tensione e restrizioni generato dalla pandemia.

Marchesini riprende «il realismo di san Tommaso d’Aquino come base di diagnosi e di cura psicologica», ma anche le acute considerazioni di Rudolf Allers – unico allievo cattolico di Freud, secondo il quale dietro la nevrosi c’è un problema metafisico non risolto per cui «il nevrotico è colui che non accetta la realtà e le rimprovera di non essere come lui la vorrebbe» – e di Viktor Frankl, e soprattutto attinge a piene mani alla fonte della Parola.

Se la ragione è l’auriga che conduce la biga alata nel mito platonico, il problema non sono evidentemente le passioni in sé, fondamentali per spingerla a perseguire il bene, bensì «dal punto di vista clinico i problemi cominciano quando la paura vince sulla ragione e prende il controllo della nostra vita». L’ansia è infatti una paura generalizzata dinanzi a ogni situazione che solitamente viene gestita attraverso l’attivazione di alcune modalità che rassicurano, quali la comfort zone, l’impiego di rituali e di meccanismi di controllo.

Relativamente alle dipendenze, Marchesini osserva che in esse in realtà «la persona si accontenta di un piacere perché pensa di non poter avere un bene vero». Inoltre «le dipendenze non dipendono dalla ra­gione; sono, infatti, l’effetto di una compulsione, cioè di una spinta forte, più o meno irresistibile e incontrollabile. Per questo è inutile l’appello alla ‘forza di volontà!’: la volontà, in questi casi, è quasi impotente». Di qui, dopo aver distinto il vizio dal peccato, lo stesso psicoterapeuta precisa ancora che «gli atti eseguiti in conseguenza di una di­pendenza sono un peccato nella misura in cui sono liberi. Tanto più è forte la compulsione, tanto meno saranno liberi e, quindi, peccaminosi».

In effetti la vera libertà è il presupposto «per compiere il bene e amare gli altri». D’altra parte se, per dirla con Allers, ««al di là del nevrotico c’è solo il santo», si potrebbe quindi definire «il grado di sofferenza di una persona con la misura della divaricazione tra la sua vocazione e la vita attuale». E proprio al fine di attenuare tale discrepanza e consentire alla vita attuale di rispondere concretamente al progetto del Padre, Marchesini offre una serie di suggerimenti pratici preziosi da tener presente: «Cerchiamo un ambiente buono, evitiamo gli ambienti cattivi. Circondiamoci di persone buone, sagge e intelligenti, che ci facciano crescere; facciamo in modo che la nostra casa sia un ambiente dove si stia volentieri e non dal quale si voglia fuggire appena possibile; ascoltia­mo buona musica, coltiviamo buone letture e selezioniamo buone relazioni; godiamoci questo mondo meraviglioso vivendo il più possibile all’aria aperta; facciamo questa, benedetta, “moderata attività fisica”; dedichiamo tempo ai nostri interessi e alla spiritualità. Rinunciamo alla fre­nesia, al lavoro eccessivo; non inseguiamo la reputazione, il prestigio, la carriera, i soldi. Ricordiamo che la nostra vocazione non sono le circostanze: siamo noi. Il nostro obiettivo quotidiano è diventare migliore di quanto fossi­mo ieri».

In sostanza «preoccupiamoci di arrivare al termine della nostra giornata avendo fatto un po’ di bene ed evitato un po’ di male. È sufficiente e alla nostra portata». Di qui l’invito dello psicoterapeuta a coltivare le virtù più che discutere di ‘valori’, anche perché la posta in gioco è la promessa di una felicità piena, ossia «la santità, che non consiste solo nell’avere una vita spirituale intensa, ma nello sviluppo in­tegrale della mia persona».

Eppure, per dirla infine con le parole profetiche della lucida e acuta analisi del cardinale Danneels pubblicata in appendice al saggio di Marchesini, «in Occidente la crescita incontrollata dell’io si è trasformata in cancro. Il senso di Dio è entrato in crisi e proprio per questo l’uomo ha perso la sua identità e la sua gioia. Perché ogni attacco a Dio ferisce l’uomo nella sua stessa natura. Lo rende triste», e nel contempo «la scomparsa della dimensione verticale porta a un’esaltazione dei rapporti orizzontali». Si tratta perciò, citando ancora il porporato, di «riscoprire Dio come Padre ed entrare con Cristo in que­sta esperienza filiale, questa è la fede cristiana ed è profon­damente terapeutica per la nostra civiltà».

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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