Le ‘Culle per la Vita’ – ormai conosciamo bene questo strumento – costituiscono un supporto fondamentale per la tutela del diritto alla vita dei neonati. Ma come sono nate? Come funzionano? Qual è il loro scopo e come e dove si può ancora migliorare? A rispondere a questi dubbi ci pensa, ai microfoni di Pro Vita & Famiglia, Teresa Bava, volontaria per la Vita dal 1987 e presidente del Centro Accoglienza alla Vita “Annunciazione” di Giaveno, piccolo comune in provincia di Torino che ospita l’unica Culla per la Vita attiva in Piemonte, preposta all’accoglienza di neonati abbandonati dalle loro mamme, collocata proprio nei pressi del polo sanitario cittadino. Il messaggio di Bava è tanto semplice quanto potente: bisogna sempre, in ogni modo possibile, difendere la Vita, non solo quella nascente ma anche quando si arriva al fine vita.
Teresa Bava, quando e per quale scopo nascono le ‘Culle per la Vita’?
«La prima è sorta all’inizio degli anni Novanta ad opera di Giuseppe Garrone del Movimento per la Vita di Casale Monferrato. Turbato dai fatti di cronaca che riportavano di neonati abbandonati in condizioni tali da metterne a repentaglio la vita stessa, Garrone si ispira alla vecchia ruota degli esposti, abbandonata definitivamente nel 1923 in quanto considerata erroneamente un incentivo all’abbandono dei neonati».
Quante sono quelle attualmente funzionanti in Italia?
«Fino al 2023 sono arrivate a esserci circa 60 Culle per la Vita sparse sul territorio italiano che hanno accolto 13 bambini. Attualmente se ne contano circa una ventina in quanto, a seguito delle visite ispettive su mandato della Procura della Repubblica, alcune sono state fortunatamente dismesse perché non avevano i requisiti minimi di sicurezza. Infatti non c’è una legislazione che normi le Culle per la Vita, per cui chiunque potrebbe aprirne una, ma è bene che ci si attenga a norme di sicurezza per garantire al massimo l’incolumità del bambino che vi viene affidato».
Le culle per la vita sono senza dubbio un’iniziativa lodevole. Eppure non sarebbe opportuno incentivare parimenti anche il parto in anonimato in quanto, pur contribuendo a salvare molti bambini, le culle sono di fatto un po’ meno sicure?
«In qualità di associazione che si occupa di tutela della maternità tutto il nostro lavoro e la nostra attenzione sono protese a far sì che ogni mamma possa stare col proprio bambino. Sicuramente, quindi, il primo passo è favorire l’accoglienza del proprio figlio, ma se ciò non fosse possibile caldeggiamo e accompagniamo la mamma nel percorso del parto in anonimato, perché in ospedale le mamme hanno possibilità di essere seguite e assistite, e così anche il loro figlio sin dal momento del parto. Tuttavia vi sono alcuni casi, come per esempio quello di alcune madri che non intendono trasferire sul proprio bambino la violenza che hanno subito impedendogli di nascere, che magari non possono neppure andare a partorire in anonimato e per i quali la Culla per la Vita diventa preferibile. Abbiamo infatti contezza di diversi episodi di “sfruttamento” nei quali il bambino è stato poi strappato alla mamma, come del fatto che i neonati rinvenuti nei cassonetti della spazzatura sono una minima parte rispetto ai bambini effettivamente abbandonati. Insomma, le Culle per la Vita sono un’alternativa all’abbandono, l’ultima spiaggia pur di salvare un bambino appena nato, affinché possa crescere in maniera dignitosa. Tra l’altro, durante le attività di volontariato abbiamo scoperto dal racconto di alcune donne costrette a prostituirsi la perversione di molti clienti di preferire la donna gravida. E purtroppo, rispetto al numero dei parti in anonimato in Italia, stando ai dati ufficiali, ci vien da pensare che un certo numero di bambini manchi all’appello e non si sa bene che fine faccia. Di qui, quando abbiamo portato i nostri bigliettini in cui si parla dell’opportunità di tali Culle per la Vita, queste donne li hanno tenuti volentieri e, con le lacrime agli occhi, ci hanno risposto: “Questo mi interessa, grazie!”; “Questo lo tengo per un’amica”. E ancora, stiamo riscontrando che quando ci sono donne afflitte da diversi problemi, il fatto di sapere che fino all’ultimo possono scegliere di partorire in anonimato o affidare in alternativa il figlio alla Culla per la Vita, infonde loro maggiore speranza e fiducia di avere nove mesi di tempo davanti per provare a risolvere i problemi contingenti. In 38 anni d’esperienza sul campo posso comunque testimoniare che nessuna mamma si è mai pentita poi di aver portato avanti la gravidanza».
Cosa intendete fare per sviluppare maggiormente e migliorare la rete delle Culle per la Vita?
«Nonostante siamo depositari del marchio ‘Culla per la Vita’, abbiamo sempre consentito che chiunque volesse aprire una Culla potesse farlo agevolmente. Tuttavia, anche alla luce di alcuni recenti fatti di cronaca, siamo diventati più esigenti, sollecitando affinché ciascuna Culla possa essere dotata di un sistema di allarme efficace, proprio perché bisogna avere la massima cura e premura per il bambino che ci viene affidato. Di qui, coadiuvati dai legali e dai tecnici, abbiamo formulato un disciplinare che prevede una serie di norme di sicurezza che chiediamo di osservare a chi apre una Culla per la Vita, a garanzia e maggior tutela del bambino e della sua mamma affinché il nome Culla per la Vita sia evocativo non solo di uno specifico servizio ma anche di uno strumento a cui affidare il proprio figlio in sicurezza. In fondo il nostro auspicio è che nessuna Culla venga mai utilizzata, se non come estrema alternativa all’abbandono di un neonato in luoghi non sicuri per la sua incolumità. Auspichiamo pertanto che vi siano Culle per la Vita non solo per l’iniziativa privata di pochi, ma in tutti gli ospedali ove vi è un reparto di neonatologia. Poi occorre far conoscere tali strumenti e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla loro esistenza. Mi ha colpito tantissimo, a tal proposito, constatare che numerosi ragazzi delle scuole medie, quando siamo andati a parlare nelle loro classi, sapessero bene cosa sia e a che serva una Culla per la Vita e soprattutto fossero favorevoli alla sua esistenza perché – ci hanno detto – “ogni bambino ha il diritto di essere accolto e di avere la possibilità di vivere”. Quindi ogni Culla per la Vita ha anche una funzione educativa, nella misura in cui con la sua sola presenza testimonia in silenzio l’esigenza di accogliere e proteggere ogni nuova vita».
Dal momento che Lei è molto attiva nel promuovere la custodia della vita – quindi in ogni sua fase, non solo quella dei nascituri – in merito al Ddl sul suicidio medicalmente assistito attualmente in discussione in Parlamento, cosa ne pensa?
«Credo che non si debba mai scegliere una legge per il male minore, ma una legge per il bene maggiore. Il bene maggiore, in questo caso, è che chiunque possa avere accesso al sostegno necessario e a tutte le cure, compresa la vicinanza di qualcuno e dunque non la solitudine; a strumenti, apparecchiature e farmaci che gli consentano di vivere dignitosamente fino alla fine. Un disegno che acceleri il fine vita non può perciò assolutamente essere condivisibile. Il malato va sostenuto, non va soppresso, perché resti innamorato della vita fino all’ultimo respiro».