«Francesco, l’uomo fatto preghiera, offre ai suoi un Cantico concepito come laudes da breviario, quasi un nuovo salmo, che nei Salmi e nella liturgia trova le proprie fonti». C’è il lirismo poetico del santo frate d’Assisi che loda il Creatore attraverso le sue creature alle origini della letteratura italiana.
Lode, invocazione, supplica, lamentazione, atto di fede, ma anche grido o ribellione sono infatti – da San Francesco a Eugenio Corti – alcune tra le molteplici forme e sfumature assunte dalla preghiera cristiana, come rilevano i numerosi contributi di studiosi e accademici di prestigio raccolti nel corposo volume La preghiera nella letteratura italiana (IPL 2024, pp. 832) pubblicato recentemente dalla casa editrice della diocesi ambrosiana. Nella preghiera scritta affiora la vita, oggetto principale della stessa letteratura, in ogni sua dimensione: quella materiale che chiede al Padre in special modo aiuto e consolazione nella tribolazione; quella morale di una coscienza pentita che gli domanda perdono; quella spirituale che rende grazie e contempla l’amore infinito del Creatore.
«Lo Stabat mater unisce in modo unico la contemplazione della Passione col desiderio di immedesimazione e sequela di Gesù», scrive Barbieri commentando il capolavoro di Iacopone da Todi. Le preghiere fatte con fede sono accolte in cielo come «il figliol prodigo dal pietoso Padre», scrive Boccaccio. Per Santa Caterina da Siena alle radici dell’orazione c’è la coscienza profonda della propria miseria e l’esigenza dell’aiuto di Dio. La preghiera nasce nella «casa del conoscimento di sè» e deve essere continua, ossia il motore propulsivo di ogni attività. Di qui, tra le numerose visite di Gesù che ella riceve, durante il momento dell’Eucarestia una volta al suo «Domine, non sum digna» si sente rispondere dal Maestro: «Io sono degno affinché tu entri in Me». «Tu sol puo’ rinnovarmi fora e dentro / le voglie e ’l senno. Ogni ben senza Te, Signor, mi manca», afferma Michelangelo in una preghiera dominata dal tormento, dal senso angoscioso del peccato e nel contempo dall’invocazione della misericordia divina; laddove Tasso dà libero sfogo alla sua afflizione mentre medita con cuore compunto sul dolore e le lacrime di Gesù e Maria.
Una volta rimasta vedova Vittoria Colonna conduce una vita claustrale tra Orvieto, Viterbo e Roma. In una preghiera d’invocazione allo Spirito Santo si rammarica del fatto che la sua anima stenti ad amare Dio come a Lui conviene, per cui «cerca l’alma il suo bene e poi s’ingombra / se stessa amando più che ’l vero obietto. / Dammi, Ti prego, o mia viva salute, / ch’ormai vestita di celesti piume / voli a la vera luce, al vero amore». Nel meditare sull’agonia di Gesù nel Getsemani Pietro Aretino nota che «nell’orto ci mostrò a ricorrere a Dio nelle nostre afflizioni per via della orazione. Con l’apparire dello Angelo, ci risolvé come Iddio non abbandona chi lo chiama». Verso la fine del Cinquecento, il benedettino genovese Angelo Grillo supplica così il Padre chiedendogli in dono la grazia di un’autentica contrizione del cuore: «Dal sasso del mio core / cava dolce Gesù fuoco d’amore / e viva acqua di pianto / ond’io lavi quest’alma immonda tanto. / So ben ch’è colpa mia/ e che mie voglie sciolte / t’han fisso in croce mille e mille volte».
«Chi prega si salva, chi non prega si danna» è il celebre aforisma di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, la cui orazione fervente è rivolta in special modo a Gesù e Maria, allo Spirito Santo e al Santissimo Sacramento. Ne le Strofe per una prima comunione di Manzoni la meditazione delle verità di fede degli Inni Sacri si coniuga con la necessità di aiutare anche i bambini a imparare a pregare. Nel mondo letterario di Verga «si prega più in casa che in chiesa, segno di una religione celebrata più nel travaglio quotidiano che in formulari catechistici»; vi si ritrova la preghiera filiale d’abbandono al Padre e quella «accomodata al proprio tornaconto personale», osserva don Marco Ballarini, già Prefetto della Biblioteca Ambrosiana.
«Nel buon cuore di Gesù che m’ha redento in pace mi riposo e mi addormento» prega ogni sera il piccolo Giovanni Pascoli insieme alla sorella Maria. La stessa sorella del poeta racconta nelle sue memorie che in tempo di epidemia invocavano San Rocco; che chiedevano insieme al Signore anche di essere liberati dai ladri, poiché ne avevano molta paura da quando una sera erano entrati in casa loro.
Fortemente critico nei confronti di un «labbreggiare» soltanto meccanico, Pirandello loda invece l’autenticità della «preghiera delle madri» e quella altrettanto sincera di quanti sperimentano sulla propria pelle la durezza della vita. Non osa neppure chiamarlo Dio, anche se a lui tenta di rivolgersi, Italo Svevo all’indomani della morte del padre. Allo stesso modo la preghiera di Pasolini dell’Usignolo della chiesa cattolica assume i contorni di una sfida nei confronti di un Dio che non risponde. Di qui, nel fare i conti con la ‘morte di Dio’, la preghiera del razionalista Giorgio Caproni assume toni paradossali: «Dio Onnipotente cerca, almeno, di esistere». Pur autodefinendosi “cristiano senza Chiesa” Ignazio Silone confessa di non riuscire a fare a meno del Padre nostro e del segno di croce. La preghiera di Ungaretti si muove invece tra momenti di illuminazione e tenebra; tra adorazione, ringraziamento e «appassionati gridi al Santo che soffre», a Cristo «pensoso palpito».
La fede autentica di un altro grande poeta del Novecento, Mario Luzi, si traduce ancora nell’accorata supplica al Verbo del Padre di non disabitare mai la sua anima. Meditando l’Ave Maria durante la sofferenza dei suoi ultimi giorni terreni, così soggiunge Clemente Rebora, evidenziando l’esigenza di amare nel tempo presente, senza recriminare il passato né preoccuparsi del futuro: «Nel nunc (ora, ndr) si risolve tutta la nostra vita religiosa; se fossimo perfetti nel nunc avremmo risolto tutti i nostri problemi. Solo il nunc è in mano nostra, e quindi anche l’hora mortis, che diventerà così l’ultimo nostro nunc». L’esigenza di un dialogo quotidiano con Dio si fa particolarmente pressante anche durante l’esperienza tragica della guerra. Eugenio Corti eleva al Padre una preghiera anche per i nemici, nella consapevolezza che «Dio è vicino agli uomini e più nei momenti di prova».
Insomma se – per dirla ancora col più napoletano tra i Santi Alfonso Maria de’ Liguori – Dio «vuole essere trattato come l’amico più affezionato che abbiamo, e quindi vuole che gli parliamo spesso, con familiarità e senza soggezione», bisogna «parlargli a tu per tu. Egli allora ti parlerà con ispirazioni, con lumi interiori, con nuove scoperte della sua bontà, con tocchi soavi al cuore, con segni di perdono, con esperienze di pace, con la speranza del Paradiso, con gioie profonde, con la dolcezza della sua grazia, con abbracci d’amore, che conoscono bene le persone che Egli ama e che non cercano altro che Dio».