«Io non sono un esempio. Non sono un’ispirazione. Non sono una storia motivazionale da raccontare durante le pause caffè in ufficio, mentre vi sentite tanto progressisti perché avete appena letto un articolo sulla disabilità scritto da uno “come me”. Io sono Emanuel. Non sono la caricatura del disabile felice che vi fa commuovere e vi fa sentire migliori. Ma neanche il poveretto rancoroso che si lamenta dalla mattina alla sera. Io sono uno che vive. Che si incazza, ride, ama, sbaglia, cade, riparte». Si presenta così in Scomodo, come la verità(Independently published, pp. 190) Emanuel Cosmin Stoica, giovane influencer e attivista per i diritti delle persone con disabilità. Pur avendo la Sma (atrofia muscolare spinale di tipo 2), si è laureato in giurisprudenza e lavora come consulente per le disabilità per promuovere un’inclusione concreta, lontana dagli slogan vuoti e dai falsi miti del ‘politicamente corretto’.
Nato in Romania e giunto in Italia proprio per ricevere le doverose cure mediche, si racconta mentre denuncia con parole chiare e sferzanti le contraddizioni di un sistema che si riempie la bocca di ‘diritti’ senza però assicurali davvero, scadendo spesso in un vacuo «assistenzialismo che immobilizza o in un finto buonismo che tiene i disabili in una condizione di perenne dipendenza».
Riguardo ai falsi miti sulla disabilità Stoica scrive: «Guai a ricordare che la disabilità è anche fatica fisica, limiti, dipendenza dagli altri, giorni no che durano settimane. Preferiscono che raccontiamo un’altra storia. Quella zuccherosa. Quella che dice: “La disabilità è solo nella testa”. Peccato che la carrozzina non sia un’illusione. Peccato che certi dolori non spariscano con il pensiero positivo». Eppure lo stesso scrive di non essere «nato per sopravvivere. Io voglio vivere. E voglio viverla tutta, questa vita. Con i suoi limiti, certo, ma decidendo io fino a dove spingermi. Sono uno che ha dovuto lottare per ogni centimetro di libertà, dalla mattina in cui si sveglia alla sera in cui spegne tutto e chiude gli occhi. Essere disabili non è eroico. È faticoso, ingiusto, logorante. Ti fanno combattere per ogni diritto come se fosse un favore».
Da adolescente Emanuel ha amici veri che lo fanno «sentire parte della vita, senza sconti e senza filtri». Il «primo muro vero» è costituito dagli adulti, in specie «quelli che mi rivolgevano la parola con quella vocina dolce, come se avessi sei anni invece di sedici». Fidanzato con Anita, le ha chiesto dal palco dell’ultima Manifestazione per la Vita di sposarla. Relativamente ai pregiudizi anche verso la sua fidanzata, considerata quasi un’eroina compassionevole, egli ribadisce: «L’amore, lo dico chiaro, è parte della mia vita tanto quanto lo è per chiunque altro. Con le stesse gioie, le stesse paure, gli stessi problemi, gli stessi desideri». Di qui, riguardo all’idea perversa di un assistente sessuale per disabili, osserva senza mezzi termini: «Non ci sto a farmi trattare come un incapace da accompagnare a letto per compassione. Non ci sto a far passare l’idea che, per noi disabili, l’unico modo per vivere la sessualità sia pagare qualcuno che venga a “farci del bene”».
Egli svela l’ipocrisia della «paura travestita da ammirazione» e le menzogne del ‘politicamente corretto’, «della sinistra radical chic che ti applaude mentre ti sta lasciando fuori dalla porta. Quello degli slogan vuoti, delle campagne social. Quelli che ti vogliono solo se dici le parole giuste». Il suo intento è «smontare la narrazione fiabesca del “poverino che ce la fa” e quella del “basta crederci».
«Dal basso del mio sedile, ho imparato che chi non si difende è perso».Stoica affronta sulla propria pelle come tanti le difficoltà di monopattini parcheggiati sul marciapiede in nome di una mobilità sostenibile non per tutti; di una disabilità «fatta di solitudine, di burocrazia, di marciapiedi rotti, di contratti che non arrivano, di sogni frenati da una società che ci vuole sempre e solo dietro, mai davanti».
Rispetto all’esercizio della professione osserva: «Voglio fare il lavoro che amo, alle condizioni giuste, senza che la mia disabilità venga usata come alibi per tagliarmi fuori». In polemica con le politiche dei sussidi, Stoica rileva che «vivere da assistiti è più facile che lottare per essere liberi» per cui, «nella realtà, il lavoro continua a essere roba da normodotati».
Infine critica duramente la mentalità abortista: «C’è una parte della società – quella stessa che si riempie la bocca di “diritti”, “inclusione”, “progressismo” – che vorrebbe selezionare chi ha diritto di nascere e chi no. Eugenetica moderna, confezionata bene, col sorriso, dentro slogan tipo “libertà di scelta” e “diritto alla salute”. Solo che la salute, per loro, è perfezione. Se tuo figlio non rientra nei parametri stabiliti dalla normalità patinata, è meglio che non nasca affatto. Non sia mai che poi costi troppo. Non sia mai che sia “di peso” per la società». E rispetto all’eutanasia aggiunge: «Io voglio la libertà di vivere bene, non di morire prima. Io voglio uno Stato che mi sostiene nel diritto a una vita degna, non che mi mette in mano la via d’uscita con il sorriso stampato in faccia».
Il suo saggio è pertanto un manifesto diretto e provocatorio che «smaschera le false battaglie woke e il marketing della disabilità, dando voce a chi è stanco di accontentarsi delle briciole e ha deciso di disturbare», nella consapevolezza che la «disabilità non è un limite. Il vero limite è chi ci vuole fermi».
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana