«Cristo mio, amor mio, tutto il resto è vanità». Profondamente consapevole della vacuità delle realtà terrene e della fragilità della natura umana, San Filippo Neri è il cantore della vera umiltà che si lascia permeare dalla grazia divina. Allegro, festoso, gentile, schietto, semplice, pio, premuroso, amabile, profondo, riservato, assorto, estatico e pazzo di Dio: Filippo è «un’armonia di “distinti” composta nell’unità. Nulla stride nella sua personalità: tutto è armonizzato da un’esperienza di comunione con Dio che visibilmente plasma la sua ricca umanità», scrive monsignor Edoardo Aldo Cerrato, secondo quanto riporta la recente e agevole biografia di Pina Baglioni Filippo Neri. Il genio dell’amicizia cristiana (Ares 2024, pp. 144).
A 510 anni dalla nascita e 430 dalla morte, il ‘Pippo buono’ continua a testimoniare quel cuore più grande del normale, non metaforicamente ma realmente per singolare grazia, che gli ardeva nel petto. Nativo di Firenze, il giovane arriva a Roma che ha quasi vent’anni, intorno al 1534. Gira tra i carcerati di Tor di Nona per consolare i condannati a morte; all’Ospedale San Giacomo visita malati di sifilide e moribondi che rallegra con i suoi abbracci, esortandoli a soffrire per amore di Dio. Membro della confraternita di Santa Maria della Purificazione «per ricreare detti infermi portava melangoli, confetti, ciambellette, prugne fresche». Comincia a studiare dagli agostiniani, conosce sant’Ignazio di Loyola e i gesuiti, ma continua a ripetere come una giaculatoria: «Gesù mio, non t’ho mai amato. Eppure ti vorrei amare, Gesù mio. Gesù mio, io ti vorrei amare, ma non trovo la via. Cosa potrò fare se tu non mi aiuti, Gesù mio? Gesù, sii Gesù per me».
La risposta attesa giunge la notte di Pentecoste del 1544 mentre è in preghiera sulle tombe dei martiri presso le catacombe di San Sebastiano: «Mentre con somma premura Filippo chiedeva i suoi doni allo Spirito Santo, gli apparve un globo di fuoco, che gli entrò nella bocca e si fermò nel suo petto; e allora fu improvvisamente sorpreso da un tale fuoco d’amore, che, non potendo sopportarlo, si gettò a terra, e, come chi cerca di rinfrescarsi, si scoprì il petto per temperare in qualche modo la fiamma che sentiva. Dopo essere rimasto così per qualche tempo, e si fu un po’ ripreso, si alzò pieno di gioia insolita, e subito tutto il suo corpo cominciò a tremare con un tremore violento; e portandosi la mano al petto, sentì al fianco del cuore un gonfiore grosso quanto pugno di un uomo, ma né allora né dopo fu accompagnato dal minimo dolore o ferita». Da quella notte per 51 anni porterà in petto un cuore anomalo sul piano fisico, segno di pervasione dell’amore di Dio in tutto il suo essere. E in effetti due costole si erano rotte e curvate a forma di arco: lo chiamerà «secretum meum mihi» («il mio segreto per me»).
Divenuto sacerdote Filippo trascorre tante ore in confessionale: il suo volto bonario, sorridente e compassionevole mette tutti a proprio agio. È infatti consapevole che, se «spaventati dal timore e dalle difficoltà della nuova vita, essi torneranno indietro: lasciata la confessione, si manterranno più lungamente nel peccato. Invece, con la compassione, con la dolcezza e con l’amore, sforziamoci di guadagnarli a Cristo; condiscendiamo a essi per quanto possiamo: tutto il nostro studio sia di infiammarli dell’amore di Dio, il quale esso solo fa operare cose grandi».
Egli si pone umilmente nelle mani di Dio lasciandosi condurre docilmente dallo Spirito. Di qui così prega di frequente: «Mettetemi Signore la vostra mano sulla mia testa, altrimenti oggi mi faccio turco. Signore, non mi togliete la mano sulla testa altrimenti oggi vi tradirò come Giuda. Non ti fidar di me, Gesù mio, io te l’ho detto, non ti fidar di me perché non so fare bene. Se tu non mi aiuti, io cadrò. Che cosa farò se tu non mi aiuti, Gesù mio». Esorta così i suoi confratelli: «Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi. Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, acciò possiate diventar grandi negli occhi di Dio. Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito di umiltà e un sentir basso di sè. Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l’essere gonfiato della propria stima».
L’amore di Dio in Filippo non è mai disgiunto dall’amore per il prossimo. Per i giovani e non solo fonda l’Oratorio non come spazio banalmente ludico-ricreativo, ma quale luogo in cui imparare ad amare Cristo crescendo insieme e meditando i misteri della fede. La sua carità si rivolge davvero a tutti. Egli mostra una grande sollecitudine persino verso le partorienti, che conforta anche con simpatiche trovate. Si racconta che una volta porta con sé uno dei giovani cantori in una stanza attigua a cantare sommessamente le laudi, mentre egli rassicura la futura mamma. Il 16 marzo 1583, giunto nella camera ardente del fanciullo Paolo Massimo appena defunto, vi si accosta e lo rianima, in modo che possa confessare un peccato dimenticato prima di morire in pace.
Umorismo e ironia sono tratti costitutivi del suo carisma. I sacerdoti della Congregazione dell’Oratorio da lui fondata raccontano in proposito: «Ci esortava il nostro santo padre che stessimo allegri, dicendo che non gli piaceva che stessimo pensosi e malinconici, perché faceva danno allo spirito. Erano le sue stanze una scuola di santità e ilarità cristiana. A lui premeva sopra ogni cosa la purità di cuore perché, diceva, “lo Spirito Santo abita nelle menti candide e semplici”, ed egli è maestro dell’orazione e “ci fa stare in continua pace e allegrezza che è un pregusto del paradiso”». Quando nel 1592 Clemente VIII, cresciuto tra le fila dell’Oratorio, offre al Neri la berretta cardinalizia, «il padre si levò la berretta e guardando in cielo disse: “Paradiso! Paradiso!”». Ma il Papa non si dà per vinto e gli fa recapitare la berretta a casa. Allora Filippo, alla sua maniera, gli augura «che annasse a morì ammazzato», per poi aggiungere: «Per la fede, s’intende». È insomma un «santo dallo spirito bizzarro. Nessun santo ha riso e ha fatto ridere al pari di lui», scrive Giovanni Papini. Lo testimonia quest’altro episodio. Deciso a portare il cilicio, il discepolo e amico Francesco Maria Tarugi – colui che redigerà la regola oratoriana – si sente rispondere da Filippo: «Certo, purché sopra i vestiti!». Consapevole della propria povertà in spirito, ritiene che chi è allegro fa strada nella vita di Dio.
«Io non voglio più promettere di cambiare vita e di fare bene, perché te lo prometto, o Signore, e poi non lo faccio», afferma padre Filippo. Allora, per dirla con il sacerdote oratoriano padre Maurizio Botta, il Neri testimonia che «il santo è uno che ha una profonda conoscenza di sé, sa qual è la fonte della vita e della gioia», ma non si perde d’animo. E in effetti Filippo esortava: «Fate tutto ma non fate peccati. State allegri, basta che non facciate peccati. Fate che quest’amicizia con Gesù sia il centro della vostra vita. Gesù vivo, presente qui e ora, in questo istante». In tale prospettiva è da intendersi «State buoni se potete», una celebre frase che in realtà non ha mai pronunciato in questi termini, anche se ben sintetizza lo spirito oratoriano, nella misura in cui egli sollecita i giovani a vivere rettamente e con cuore puro; a ricercare il bene, nella consapevolezza che ciò è difficile se non impossibile a farsi senza l’aiuto della grazia di Dio. «Chi vuol altro che Cristo non sa quel che voglia. Chi cerca altro che Cristo non sa quel che cerca. Chi fa e non fa per Cristo, non sa quello che fa» testimonia ancora la centralità di Cristo nella sua vita.
I pilastri della sua spiritualità sono l’Eucarestia e Maria, come sarà anche per san Giovanni Bosco, l’altro illustre padre dell’oratorio. La sua devozione eucaristica è tale che egli «convoglia tutti e tutto verso il momento di adorazione – le Quarant’ore – e fa di esso il centro propulsore e di irradiazione della sua missione. Egli lega e invita altrettanto gli altri a legare la presenza reale nel Santissimo Sacramento alla carità». Riguardo alla devozione mariana, Filippo sin da bambino chiama la Vergine «il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia». Ai suoi giovani dice: «Figliuoli miei, siate devoti della Madonna: Siate devoti a Maria. Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so: non vi è mezzo più potente a ottenere le grazie da Dio che la Madonna Santissima».